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Fino  al 27 maggio 2018 l’incantevole Palazzo Pallavicini, a Bologna, ospiterà  una straordinaria mostra “Vivian Maier – La fotografa ritrovata”, con le magnifiche fotografie originali di una delle fotografe più apprezzate di questo secolo.

La mostra è  realizzata da Palazzo Pallavicini con la curatela di Anne Morin di Di Chroma Photography sulla base delle foto dell’archivio Maloof Collection e della Howard Greendberg Gallery di New York.

Ai visitatori, nelle rinascimentali del Palazzo, si offrirà un eccezionale percorso espositivo diviso in differenti sezioni tematiche, rispecchianti gli  argomenti che la Maier sentiva più cari e vicini:  infanzia, autoritratti, ritratti, vita di strada, oggetti e colore.

La curatrice, in occasione dell’esposizione, ha eseguito un'accurata selezione   tra le  migliaia di scatti a disposizione. In mostra ne saranno esposti centoventi, in bianco e nero.

Il lavoro di Vivian Maier (1926-2009) è rimasto nell’ombra fino al 2007, quando John Maloof, figlio di un rigattiere, acquista un box a un’asta. Dalla scatola emergono effetti personali femminili di ogni genere appartenenti a una donna, Vivian Maier, il contenuto del cui magazzino è stato messo all’asta a causa di ritardi nel pagamento dell’affitto. Tra questi oggetti emerge anche una cassa contenente centinaia di negativi e rullini, tutti ancora da sviluppare. Dopo averne stampati alcuni ed averli mostrati in giro, Maloof si rende conto dell’immenso tesoro che ha tra le mani e, grazie alla sua intuizione ed accurata divulgazione, porta in breve tempo questa fotografa sconosciuta a essere apprezzata e affermata a livello mondiale.

«Nessuno è eterno, bisogna lasciare il posto agli altri, è un ciclo.  Abbiamo tempo fino alla fine e poi un altro prenderà il nostro posto. È tempo di chiudere e tornare al lavoro» Vivian Maier

Dopo la morte della Maier, le sue fotografie vengono esposte in tutto il mondo: nella sua patria, gli Usa, ma anche in Europa tra Danimarca, InghilterraFrancia, fino ad arrivare negli ultimi anni in Italia,  ora a Bologna con la mostra “Vivian Maier – La fotografa ritrovata”.

L’originalità di Vivian Maier si esprime nel grande talento nello scattare fotografie che catturano particolari e dettagli evocativi della quotidianità piuttosto che la visione d’insieme, raccontando così la strada, le persone, gli oggetti e i paesaggi. L’obiettivo della sua macchina fotografica intercetta con attenzione soggetti poco considerati all’epoca, rendendoli invece protagonisti del suo lavoro: la strada è il suo palcoscenico.

Nello studio dei suoi lavori si riscontra un altro filone: la Maier sviluppa infatti una vera ossessione per il gesto del fotografare, per lo scatto vero e proprio e non per il risultato finale della fotografia. Il modus operandi dell’artista è  scattare tante più immagini possibili, conservandole senza mostrarle a nessuno. Mentre nella società contemporanea l’apparire è una priorità, la Maier risulta essere sicuramente all’avanguardia nonostante i suoi tempi; come afferma infatti Marvin Heiferman, studioso di fotografia: «Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata… Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi».

Vivian Maier spesso diviene il soggetto delle sue fotografie con lo scopo, quasi ossessivo, di ricercare se stessa, imprimendo la sua ombra, il suo riflesso, la sua silhouette nello scatto. Il gran numero di autoritratti presenti nella sua produzione fotografica sembra esprimere una sorta di eredità nei confronti di un pubblico che non voleva, o forse non poteva, rappresentare.

Significativa evoluzione nel lavoro di Vivian Maier è il passaggio da fotografie in bianco e nero a immagini a colori; il cambiamento non riguarda solo lo stile, ma anche la tecnica: dalla Rolleiflex passa alla Leica, fotocamera leggera, comoda da trasportare che dava la possibilità di scattare le foto direttamente all’altezza degli occhi. Il suo lavoro a colori è singolare, espressivo, libero, a volte anche giocoso, ma sempre con quella specifica caratteristica della casualità.