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Da sempre la Quaresima nella tradizione cattolica rappresenta un cammino spirituale di purificazione e di fede che richiama i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto.

Bambola quaresimale di Amaroni

Un cammino di preparazione che dal Mercoledì delle Ceneri conduce simbolicamente alla Pasqua e al ritorno alla vita.

Un periodo liturgico che quest’anno, con il Coronavirus che ha incrinato le nostre granitiche certezze di società moderna, ci costringe ad un percorso di fede e preghiera più intimistico, di riflessione, di consapevolezza più profonda, di solidarietà e a rivalutare un’autenticità di valori in parte perduta.

Una ricorrenza contraddistinta anche da diverse e antiche tradizioni. Grazie ad Andrea Bressi, libero ricercatore, polistrumentista, che ha ereditato dal padre la passione per la musica popolare e per la ricerca sul campo delle costumanze calabresi ci soffermiamo su una particolare consuetudine.

Referente per la Calabria della Rete nazionale delle Bambole Quaresima, ci racconta come vive nella dimensione attuale questo particolare periodo un cercatore di “corajisime”, caratteristiche bambole che come una sorta di calendario rudimentale scandiscono lo scorrere del tempo fino alla Pasqua.

«Da piccolo aspettavo la fine della Quaresima per poter scartocciare le uova di Pasqua. Crescendo attendevo, come tradizione, insieme alla mia famiglia di consumare le “cuzzupe”. Ho sempre vissuto la quaresima nell'attesa... nell'attesa che andasse via!

Ma in seguito ad un avvenimento, ho cominciato ad attendere l'arrivo della Quaresima con piacere e vorrei che non finisse mai.

Una quindicina di anni fa, nel borgo catanzarese di San Floro, ho scorto appesa ad una finestrella una curiosa pupattola con delle penne incastonate in un’arancia che spuntava sotto l’abitino nero: avevo avvistato la mia prima “corajisima”.

Da quell'anno, attendo la quaresima con piacere, una buona ragione per girare per la Calabria in lungo e largo, interrogare, intervistare e fotografare le ultime custodi che espongono ancora queste bambole rituali. Sono così diventato un cercatore di bambole quaresimali.

Le “corajisime” sono delle bambole segnatempo, utilizzate in molti centri del Sud Italia.  Ogni domenica si sfila una delle sette penne di gallina infilzate in un’arancia o una patata, poste ai loro piedi. Queste pupattole di stoffa dalle origini remote e dagli scuri abitini reggono tra le mani, il fuso e la rocca congiunti da un filo. Simboleggiano il trascorrere dei quaranta giorni di preparazione alla Pasqua.

Durante la Quaresima, un tempo più di oggi, si poneva fine ai festeggiamenti, alle abbuffate, ai divertimenti per avviarsi ad un tempo di penitenza e purificazione, di astinenza dalle carni e dai cibi troppo grassi, si rispettavano, almeno nelle giornate di mercoledì e venerdì, le usanze del lutto».

 Andrea Bressi

Come vivi e percepisci l’attesa in questo particolare frangente?

«Quest'anno la Quaresima è tornata a far risentire il suo peso, imponendoci nuove restrizioni, facendoci astenere da alcuni nostri interessi. Il diffondersi dell’ormai famigerato virus, argomento quotidiano della cronaca, ha messo in ginocchio la nostra Penisola e per pura casualità è coinciso con l’avvicendarsi dei primi giorni di Quaresima.

Come me, molti cercatori di corajisime, hanno dovuto abbandonare il loro girovagare nei borghi. Con malinconia hanno dovuto demandare al prossimo anno l’aspirazione di imbattersi in una pupattola mai fotografata prima, in qualche impervia località.

"Corajisima", nell’immaginario popolare, rappresenta la moglie di re Carnevale, rimasta vedova la notte di martedì grasso, come era usanza in Calabria si chiude in casa, e si mette a filare con il fuso e la rocca per quaranta giorni.

E noi in una nuova dimensione di quarantena, siamo rintanati nelle nostre abitazioni, proprio come "corajisima". Strappati dalle nostre consuetudini, ci troviamo all’improvviso a lavorare in smart-working, tra le mura domestiche.   

Per noi Cristiani, che in questi giorni, stiamo ricorrendo e  chiedendo soccorso a Dio, ai santi patroni dei nostri paesi,  a Santa Barbara, Santa Liberata, San Rocco, Santa Rita, San Sebastiano e implorando protezione della Madonna con il suo prodigioso manto, potrebbe essere un richiamo alla fede, un ritorno alla preghiera, ad apprezzare le piccole cose della vita, a vivere la famiglia, in attesa di una nuova liberazione, una nuova Pasqua di Resurrezione».

Quanto possono le tradizioni farci sentire più vicini e ritrovare un senso familiare e le nostre radici in questo particolare contesto?

«Tanti calabresi, per motivi di studio o di lavoro si trovano fuori regione, sentendo tanta nostalgia per la propria terra e una smisurata mancanza della propria casa, dei propri affetti, vivendo questi giorni nella speranza che presto tutto questo possa finire e di riuscire  così a rientrare, per rivivere i riti della Settimana Santa nel  paese natio, scambiarsi, senza chilometri di lontananza, gli auguri con baci    e abbracci e festeggiare in armonia con propri cari la Pasqua.

In questi giorni sui social si leggono post di ogni tipo. C’è chi dà sfoggio della propria creatività, chi ha bisogno di dire la sua. Ma grazie alle nuove tecnologie riusciamo anche a sentirci più vicini con una videochiamata e ad apprendere delle notizie che riportano il sorriso, in un momento in cui abbiamo tanto bisogno di sorridere!

C’è chi, come Lucia, ha dovuto rinunciare all’arrivo dei suoi genitori da Amaroni, centro del Catanzarese e al proposito di trascorrere la festività assieme a più di 1500 chilometri di distanza, ma ha comunque appeso alla sua finestra in Germania, la pupattola foriera della tradizione della sua terra di origine. Ugualmente rinnovata dalla sorella a Londra.

Esporre la “corajisima” significa fare proprie le restrizioni quaresimali, come nel momento attuale facciamo nostra la necessità di stare a casa. Spero davvero che quest’anno sfilando la penna bianca, l’ultima delle “corajisime”, siano spazzate vie le negatività e possa giungere una nuova Pasqua di gioia che ripaghi il nostro sacrificio».
                                                                                                                                                                           Maria Patrizia Sanzo