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La giornalista e documentarista Vittoria Camobreco (sotto in foto) ci conduce, nei luoghi della sua infanzia nella Locride, alla scoperta del borgo di Staiti. Lo fa per Carattere mediterraneo con un racconto poetico e con l'amore di chi i luoghi li ha intensamente vissuti.

 

«Bastavano pure altre cento persone per popolare di più il nostro paese, bella mia… girate, andate sulla piazza, è bello!». Gentili parole e affabili sorrisi hanno interrotto il silenzio di un borgo affascinante e arroccato sul suo sonno invernale, Staiti.

Un cane abbaia da lontano. La signora che si è affacciata nel ripido e suggestivo vicolo davanti alla sua casa, mi ha dato le indicazioni topografiche che cercavo.

Le emozioni le ho poi trovate da sole, dentro l’aria d’Aspromonte che ho respirato in una domenica di febbraio e in un viaggio non di natura storica, ma semplicemente emozionale alla riscoperta della mia terra.

L’idea di visitare i luoghi a cui appartengo e prima di me i miei antenati, è una costante terapia che mi permette di conciliare i patemi della veloce vita contemporanea e il ritorno parziale e periodico alla storia dei paesini della Locride dove il tempo ha fermato gli odori, i colori, i riflessi del mare, come nei miei ricordi di bambina.

 

 

Staiti si trova a pochi chilometri da Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Capo Spartivento, Palizzi, un’area affacciata sulle coste del mare Ionio reggino, la parte più meridionale del continente europeo.

È un territorio mitico per il suo fascino geografico, per le sue memorie storiche di antica influenza greca, bizantina, forse armena, insieme  alle incursioni del mondo arabo.

Staiti piccolo e silente paese aggrappato alle ultime rocce dell’Aspromonte, guarda dalle sue acrobatiche alture verso vallate ricoperte di boschi, macchia mediterranea, precipizi vertiginosi, ma nonostante le impervie salite, non scoraggia viaggiatori, ricercatori dell’anima dei luoghi e soprattutto i suoi figli che sono andati via, ma che ritornano ogni estate a rivedere e riassaporare le loro dolci radici, i ricordi, a ritrovare i santi e la gastronomia travolgente.

Le vicende storiche di questo paesino tanto amato dai suoi abitanti, non sono differenti dai destini di tanti piccoli e antichi centri calabresi che hanno visto il succedersi di contaminazioni sociali, rapide ascese di nobili famiglie come i Ruffo, gli Stayti D’Ajerbe di origine aragonese che intorno al XVI secolo hanno dato vita al borgo.

 

 

Alla famiglia Stayti si deve la chiesa di Santa Maria della Vittoria, costruita tra il 1622 e il 1633 per commemorare la vittoria riportata a Lepanto dalle armate cristiane sui turchi, il 7 Ottobre del 1571. Poi i Carafa, principi di Roccella.

Insomma quei passaggi dinastici che hanno sempre determinato i divari sociali ed economici, le diatribe territoriali, patti e misfatti di popoli di un estremo Sud marginale e fragile.

Mentre mi aggiro dentro le strette vie dove bellissime case patrizie si alternano a grumi di mattoni e facciate consumate dal tempo, mi sembra di scorgere qualche viandante solitario che accompagnato solo da un asino e da una guida locale, scrive “Il diario di un viaggio a piedi”, uno dei romantici viaggiatori del Grand Tour, fenomeno culturale-turistico che nel 1800 portò nel Regno delle Due Sicilie intellettuali ed artisti alla scoperta di terre per quei tempi lontane e selvagge.

Edward Lear aveva visitato Staiti nel suo viaggio a piedi e, come me, aveva potuto ammirare le vertigini di quelle altezze che affacciano lo sguardo sul mare aperto, pale di fichi d’india in equilibrio su speroni di pietra, greggi ordinate che attraversano le fiumare.

Nel paese che tanto caro fu a Lear, oggi una nuova coscienza culturale e artistica conserva e tutela il patrimonio delle tradizioni, degli edifici, dei ricordi.

Un tetto di ombrelli colorati sovrasta una delle vie che portano verso una piazza, porte di catoj non sono più corrose dai tarli ma dipinte da artisti che hanno saputo ingentilire l’impietoso passare del tempo e regalare “consigli di vita” con scritte e slogan. 

 

 

In epoca bizantina, qui si erigevano conventi e bellissime abbazie, immerse nel verde muto e mistico delle vallate attraversate da torrenti.

Santa Maria di Tridetti è un capolavoro che ha resistito nel tempo, seppur espoliata di cornici e decori, rimane un esempio luminoso e ascetico di un monachesimo basiliano che ha popolato la Calabria nell’Alto Medioevo.

La sua struttura elegante e leggera dalle merlature a coda di rondine, mattoni rossi e fughe bianche, ancora parla, di sè, degli uomini che l’hanno costruita, vissuta, amata, di quel Dio dagli occhi grandi, arrivato fino a lì.

Oggi i percorsi per rivivere l’emozione di quel passato ancora vivo, sono tanti, è un territorio pieno di piccole e belle cose, riti e miti che non finiranno mai; storie che pur confrontandosi con il presente non si confondono mai con il passato e dentro il Museo dei Santi Italo-Greci, questo incontro di modernità e antico, passato e presente che guarda al futuro, si può percorrere un viaggio interessante e nuovo.

Staiti, mentre passeggio ammirata, tra ombrelli e dipinti, sembra aspettare. È in attesa che accada qualcosa di più della mia passeggiata, ha un sogno che è quello del ritorno.

Dei giovani, della vita, dei suoni di un tempo, delle voci dei bambini e dei profumi di sugo, maccheroni, fritti e tarante che ormai soltanto d’estate e per la festa di Sant’Anna, patrona del borgo, inondano le strade e la mente.

                                                                                                                                                                                                                        Vittoria Camobreco